Copyright foto: Sharon Sala
Buongiorno a tutti!
Avrete forse notato che, oggi, quella in foto non sono io…:) Se avete già dato un’occhiata alla sezione del mio sito Mi trovi anche qui, avrete già capito che trovo importante arricchirmi con i contributi di altri professionisti, per offrirvi una sempre maggiore completezza di informazioni e per non darvi mai uno sguardo unico sulle cose.
Per questo oggi inauguriamo una rubrica in cui vi presenterò dei professionisti che per svariati motivi trovo di arricchimento per me e per voi. Siete pronti?
Oggi iniziamo con Chiara Zanardelli, che da oltre 10 anni si occupa di traduzioni finanziarie e legali nelle combinazioni inglese-italiano e spagnolo-italiano. Insieme all’amore per le lingue, Chiara nutre da sempre una forte passione per le nuove tecnologie e l’innovazione digitale. Io e Chiara ci siamo conosciute online e ci siamo subito amate: stessa visione e stesso approccio su molte cose. Chiara oggi ci racconterà (anche) della sua battaglia per una maggiore chiarezza nel lessico della finanza. Se volete approfondire potete andare sul suo sito.
Eccovi l’intervista!
Chiara, con il tuo lavoro ti tieni costantemente informata delle vicende finanziarie che riguardano l’Italia: cosa ne pensi dell’educazione finanziaria nel nostro Paese?
Gli italiani hanno grossi problemi con l’alfabetizzazione finanziaria.
Ma quando l’argomento diventa oggetto di interesse della nostra banca centrale nazionale, la questione non si può di certo liquidare con un’alzata di spalle. Lo scorso gennaio Banca d’Italia ha diffuso i risultati di alcune rilevazioni che dimostrano “come il livello di cultura finanziaria degli italiani sia tra i più bassi riscontrati nelle economie avanzate per adulti e studenti”. Naturalmente molti hanno puntato il dito contro la scuola, colpevole di non aver inserito tra le materie curricolari l’educazione finanziaria. Certamente sono necessarie iniziative volte ad avvicinare i non addetti ai lavori a questo mondo apparentemente oscuro e in tal senso va apprezzata l’istituzione del comitato di educazione finanziaria diretto dalla prof.ssa Anna Maria Lusardi, autorità indiscussa in materia. La sua agenda sarà estremamente fitta, visto il basso livello di educazione finanziaria degli italiani.
Tu hai un ruolo molto importante nel veicolare le informazioni inerenti a tematiche finanziarie: in questi anni hai notato qualcosa che secondo te può spiegare questa problematica?
Come linguista, mi sono a lungo interrogata sulle mie responsabilità come “traghettatrice” di informazioni da una lingua all’altra. Mi riferisco in questo caso alla comunicazione per il pubblico − si tratti di notizie, pubblicità o altri tipi di comunicazione non specialistica – che soffre per l’abuso dell’inglese.
Il mondo della finanza è ricco di parole in lingua inglese e non ci dobbiamo stupire, visto il ruolo dominante degli USA nell’economia mondiale. Analogamente a quanto accade per l’informatica, certi termini sono ormai entrati di diritto nei dizionari italiani. Nessuno si stupisce che in tutto il mondo si parli di pizza, di tailleur, foulard… quindi dobbiamo accettare e assimilare una certa quota di forestierismi.
Il problema è però l’abuso di parole inglesi nell’informazione finanziaria che rende più difficile, se non impossibile, comunicare con un pubblico non specializzato.
Sono d’accordo, Chiara. Vuoi farci qualche esempio della cosa?
La Stampa titola “Moody’s taglia il rating della Cina, è la prima volta in 25 anni” e nel corpo del testo “Moody’s ha oggi tagliato il rating del debito cinese di un «gradino» – da AA3 ad A1 – mentre l’outlook passa da negativo a stabile”. Possibile che un quotidiano non possa usare parole italiane per rating e outlook? Per non parlare del downgrade citato nella parte successiva. Un lessico di questo tipo può essere accettabile per Il Sole 24 Ore o Milano Finanza destinati a un pubblico più specializzato. Nel caso di quotidiani più generalisti penso però che uno sforzo in più si possa fare. E ancora, quante volte avete sentito parlare di deregulation da quando è stato eletto Trump? E potrei continuare all’infinito perché anche la Banca centrale europea ha portato tante parole in lingua inglese nelle nostre vite. Ma quanti di questi forestierismi sono davvero irrinunciabili e quanti potrebbero essere sacrificati per favorire la comprensione di chi conosce poco la materia?
Come ti batti, nel tuo lavoro, a favore di una maggiore comprensibilità per tutti?
Come traduttrice finanziaria la mia mission (concedetemi l’anglicismo) è proprio quella di favorire la comunicazione, trasferire il senso di un discorso, una notizia, un’informazione nella mia lingua. E conoscere il destinatario di un testo è fondamentale per effettuare scelte terminologiche. Se rating è sicuramente la soluzione migliore in un testo destinato a operatori professionali, in un testo divulgativo le cose cambiano e serve uno sforzo comunicativo in più. La traduzione di un termine non può mai essere univoca perché dipende da molti fattori, tra cui proprio il destinatario della comunicazione. Usereste lo stesso lessico per rivolgervi a un collega di lavoro e a vostro figlio di cinque anni? Allo stesso modo in determinate circostanze il traduttore deve sacrificare la precisione terminologica per favorire la comprensione del messaggio generale − l’obiettivo principale del mio lavoro di traduttrice.
Sono convinta che favorire l’accesso e la comprensione delle informazioni sia fondamentale per aumentare l’alfabetismo finanziario e rendere gli investitori privati più consapevoli delle proprie scelte. Naturalmente solo con lo studio si può arrivare a una comprensione approfondita della materia e questa non è sempre una priorità per tutti.
Per le vostre traduzioni potete senz’altro rivolgervi a Chiara (siamo omonime, il che sta rendendo questo discorso un po’ più difficile :P) : le vostre parole saranno in buone mani.
Ultima modifica il 04/11/2019