Buongiorno a tutti!
Torno sul blog con il primo articolo dopo la pausa estiva e lo faccio per aprire uno spiraglio della porta che cela il nuovo servizio che arriverà nelle prossime settimane.
Da questo spiraglio non esce luce, ma un ritaglio di buio – che serpeggia arrivando fino a voi, ma non abbiatene paura: è portatore di novità.
Piccoli atti di disobbedienza – per aprirci al fantastico
Perché mai provavo un segreto piacere nell’essere spaventata? Quale bisogno istintivo viene soddisfatto dal terrore? Perché i bambini amano le storie che parlano di lupi, orsi, streghe? Dipende forse dal fatto che qualcosa in noi si ribella al troppo chiaro, al prestabilito? Che nella vita è forse necessaria una certa dose di pericolo?
(sono le parole di Agatha Christie nella sua autobiografia, da “Manuale della paura”, di Stefania Fabri e Francesca Lazzarato, Mondadori, 1996, pag.13)
C’è un qualcosa di sottile e che sfugge agli obblighi e alle imposizioni in cui per primi ci ingabbiamo.
È qualcosa che ci fa tornare bambini come la paura, che può riportarci linfa e qualcosa in assenza del quale tutto il buono che abbiamo davanti perde vita, con la più bella esperienza, che un tempo avremmo aspettato con ansia, che si riduce ad un cumulo di doveri, ad un’altra spunta da mettere sul calendario: la gioia della curiosità.
Entrare nei reami del fantastico riesce a farci immaginare nuovi mondi anche per noi, in cui esercitare nuovi modi di essere, da prendere a prestito dai personaggi che incontreremo.
Fruire di prodotti culturali con la gioia della scoperta vuol dire disobbedire alla regola per cui da adulti dobbiamo essere solo responsabili.
Unirci la paura può farci uscire dall’esperienza con quel sospiro sollevato che ha una base teorica nella catarsi, nella purificazione di cui parla anche Aristotele nella sua Poetica.
Indizio: ne Il perturbante come rifugio, di cui riaprirò a breve le iscrizioni, non riuscivo a far entrare del tutto anche una parte sul genere che faccia da base teorica e da stimolo per la curiosità, che spazia dunque in territori più ampi rispetto a quelli più circoscritti del perturbante.
Quest’estate sono stata ospite di questa diretta di Laura Calascibetta in cui ho capito quanto amassi anche dare spazio alla fantasia, ai collegamenti, a creare quegli stimoli superflui e vitali che possono cambiare la sostanza delle nostre giornate, aprendole alla meraviglia e allo stupore del non conosciuto.
Se volete disobbedire e farvi portare per mano in un’esperienza di stupore, anche se di solito non bazzicate affatto per le strade del fantastico ma vi va di prolungare l’esperienza di rinnovamento di cui beneficiamo di solito in vacanza con una formazione divertente e profonda al tempo stesso, che vi dia una scossa vitale e profonda, potete iscrivervi alla mia newsletter in cui prestissimo aprirò le iscrizioni – per chi vorrà, di un’esperienza che potrà essere singola o doppia.
Ansia e paure, il nostro consumo culturale come ricerca dell’identità
[…] nell’abbraccio con il noir e i suoi stilemi visivi, il thriller ha costruito un universo tensivo in cui mettere alla prova le nostre ansie e paure, permettendoci di giocare con la nostra coscienza emotiva e metterla alla prova in situazioni di sicurezza, fino a costituire una sorta di palestra delle emozioni, in cui imparare a conoscerci […]
[…] una delle principali funzioni riconoscibili al consumo culturale, cioè quella di implementare le capacità di rappresentazione e di auto-rappresentazione del soggetto individuale e sociale: nella fruizione di prodotti finzionali, in particolare in quelli audiovisivi, impariamo a capire chi sono gli altri, cosa sentono, e infine a costruire la nostra relazione con il mondo.
[…] Il thriller in particolare è sempre stato riconosciuto […] come una forma di narrazione che insiste su quell’attributo centrale del nostro sentimento identitario che Jaak Panksepp ha descritto come il sistema della ricerca.
(tratto da “Psicologia di un’emozione. Thriller e noir nell’età dell’ansia”, di Massimo Locatelli, Vita e pensiero, 2017, pag.14)
Non sono mai stata brava a fingere di non avere paura, di non essere in ansia per qualcosa.
Con il tempo ho imparato a sublimare un po’ questo mio lato caratteriale attraverso un consumo sfrenato di horror, al cinema e su carta.
Lì non devo far finta che non sia nulla, che andrà tutto bene, che ciò che sento sia solo nella mia mente: l’horror ci libera nel momento in cui ci dice: “Hai ragione, quei due non sono solo due vecchietti un po’ eccentrici. Sono assassini, scappaaa!”.
Dando seguito ai nostri peggiori timori, libera un piacere tutto cognitivo, oltre che emotivo: quello di fare ipotesi al sicuro, per poi, alla fine, sentirci più leggeri e liberi. La paura e l’ansia ci hanno abbandonato, almeno per ora: in questo calderone di ipotesi fittizie, abbiamo fatto un viaggio al termine del quale abbiamo dato libero sfogo ai nostri timori, e ora possiamo pure tornare a vedere la realtà con sguardo un poco più tranquillo.
Questo rifugio in cui vi inviterò servirà per allenare le nostre emozioni attraverso la finzione, attraverso la prefocalizzazione dei criteri (al cinema) – ne parleremo meglio – o attraverso le parole che ci portano in un luogo in cui, a differenza che nella realtà, non può accaderci nulla, ma possiamo approfittarne per conoscerci meglio.
Attraverso le emozioni, si dice nello stesso saggio della citazione in apertura di Massimo Locatelli, attribuiamo un senso al mondo che ci circonda ed in questo è fondamentale la nostra esperienza di consumatori dei prodotti culturali giusti per noi e per il nostro cammino di scoperta e di apertura verso l’esterno.
Attraverso ciò che proviamo con e per i personaggi, attraverso le esperienze che facciamo per loro tramite, possiamo imparare a stare in ascolto degli echi che si riverberano in noi da lì, per farci domande su come stiamo, chi siamo, dove vogliamo andare, aprendoci alle possibilità di altre vite, nel momento in cui ampliamo i nostri riferimenti con le storie che leggiamo e che in caso contrario non prenderemmo mai in considerazione.
Alcuni esempi di domande possibili da porvi:
- Qual è il personaggio che mi ha colpito di più e per quale sua caratteristica?
- Parliamo di un tratto che ammiro e vorrei possedere o da cui vorrei prendere ispirazione, o al contrario è un qualcosa che mi infastidisce?
- Se pensiamo ad un prima e ad un dopo: cosa porto con me da questa lettura, che prima non c’era?
Coming of age horror – al cinema e in letteratura
Un’età narcisistica per eccellenza e, verrebbe da dire, per necessità, visto che incarna una fase fondamentale nella costruzione del proprio io e della sua relazione con gli altri e ha bisogno di muoversi costantemente tra l’esplorazione e la conferma di sé, tra l’estroflessione e il rifugio, tra il desiderio di maturazione e il rimpianto per certe sicurezze perdute per sempre.
(tratto da “Leggere per leggere. La libertà di scegliere il libro che più ci somiglia”, di Hamelin e Rachele Bindi, Salani, 2021, pag.21-22)
L’horror è un canto che sussurra alle orecchie di chi sceglie la strada più difficile – agli occhi degli altri, per restare sé stesso.
L’horror è una danza che risuona nelle ossa di chi vede cose che altri non vedono, e lo fa alzare e ballare in modo sfrenato sotto la luna piena.
L’horror, quando incrocia la stagione dell’adolescenza, diventa rischio di finire fuori strada, di diventare altri, nella scelta al bivio.
In questa occasione che arriverà molto presto esamineremo storie, al cinema e sulla pagina scritta, di adolescenti che hanno scoperto un potere e devono scegliere come usarlo.
Un potere che spesso non hanno chiesto né voluto.
Ma in fondo, non accade così un po’ per tutti gli adolescenti che diventano adulti, e non riconoscono più il proprio corpo, i pensieri, il volere? 🙂
Un’estraneità accolta
L’estraneità che sentono in sé alcuni dei personaggi che incontreremo, già in questo primo luogo, in misura ancora maggiore nel percorso di gruppo Il perturbante come rifugio che seguirà per chi vorrà, può venire accolta ed integrata come parte di sé.
Nella raccolta di saggi La perturbante, nell’accezione del termine si parte anche dalla sua radice etimologica e si dà conto poi
- della visione filosofica di Schelling per cui il perturbante è qualcosa che avrebbe dovuto restare in casa, nascosto, e che nonostante questo è emerso;
- della visione di Freud per cui il perturbante è invece qualcosa di familiare, nascosto nello spazio protetto della casa e che, uscendo, è all’origine di un turbamento.