Buongiorno a tutti!
Se mi seguite da un po’, ormai sapete come i miei articoli vengano spesso fuori da un mix di letture e collegamenti con considerazioni e fatti di stretta attualità nella mia vita: conversazioni, vicende, pensieri.
Questa volta non è da meno: seguitemi in questo piccolo viaggio che va da personaggi femminili letterari che ci infastidiscono, ad alcune considerazioni sulla sindrome dell’impostore e su una narrazione del femminile spesso carente di una parte importante.
Tre libri, tre personaggi difficili (per me)
Tutto inizia tempo fa con una rilettura.
Quella di “Julie & Julia” di Julie Powell: è il libro del nostro secondo incontro de Il nostro cuore segreto e mi rendo conto che c’è qualcosa che non va.
Non mi ricordavo che Julie fosse stata per me così irritante, quando l’avevo letto per la prima volta anni fa.
E invece.
Poi, di recente, mi arrivano gli esercizi di alcune delle partecipanti e mi accorgo di non esser sola: per motivi diversi, non sono l’unica a provare a tratti un fastidio verso un certo tipo di lamentela che attribuisco a tratti a Julie.
Ecco, l’ho detto :). Poi mi rendo conto di un’altra cosa: negli anni, tra un papà ed un marito ingegnere e una mamma che mi è sempre corsa dietro urlandomi di mettere a posto il casino che lasciavo in giro, mi è stato fatto notare da altri come io sia diventata un po’ precisina.
Che vi devo dire: è vero :P.
Chiamatelo spirito di sopravvivenza, mettiamo che tutto si sia innestato sul mio carattere sognatore ed emotivo, ma anche profondamente pragmatico, ed ecco quanto è successo: il disordine, il lamento autoindulgente che ho a tratti attribuito a Julie mi ha reso evidente, come uno specchio, alcuni miei lati da smussare e ciò che tende a darmi fastidio nella vita di tutti i giorni.
Già: nei personaggi dei romanzi più fastidiosi, nei miei percorsi, con un metodo che attinge dalla filosofia a piene mani, ritroviamo qualcosa anche di noi.
E mi è venuto spontaneo pensare ad un altro romanzo che ho letto per la prima volta di recente: “Un matrimonio da dilettanti“, di Anne Tyler, che ho già brevemente recensito.
La protagonista Pauline è un personaggio meravigliosamente sfaccettato: a tratti impulsiva, a volte indipendente, spesso non prescinde dalla propria coppia per darsi il giusto valore.
Avrà un’evoluzione veritiera, proprio perché molto umana e poco perfetta, nel corso del romanzo.
Mi sono resa conto che il fastidio che provavo a tratti era un grande tifo fatto per lei, come in fondo in fondo per Julie: perché smettesse di esistere solo in funzione della propria famiglia, per la sua unione con il marito, ma anche perché aprisse gli occhi e capisse qualcosa di Michael che non vi spoilero, perché rimanga una prima lettura sorprendente come è stata per me. A differenza infatti del marito di Julie e di quello di Julia, che ho trovato due personaggi fantastici, non sono mai entrata in sintonia con Micheal.
Il terzo romanzo è “Una donna indipendente” di Elizabeth Von Arnim.
Rose-Marie si innamora, e sappiamo che l’amore è spesso cieco.
Roger non ha un briciolo della spina dorsale, dell’intelligenza e dell’amor proprio che Rose-Marie tirerà fuori. Così, dopo un breve attimo in cui, da bravo grillo parlante :P, ché quando succede a noi è ben diverso, avrei voluto scuoterla per le spalle, mi ha dato immense soddisfazioni su carta :).
La sindrome dell’impostore socratica
Si chiama effetto Dunning-Kruger quella distorsione cognitiva per cui chi è incompetente tende a credersi molto più sul pezzo di quanto non sia in realtà. Già. proprio come Roger :).
Il suo contraltare?
Quello che ho trovato un po’ come filo conduttore delle tre protagoniste di cui parlo, in una certa fase della storia narrata: una sindrome dell’impostore socratica.
Socrate era arrivato tra le proprie massime conquiste a dire: “So di non sapere“, consapevole dell’infinità della conoscenza ancora da conquistare.
Capita spesso che chi ha un enorme valore sia afflitto da una sindrome dell’impostore di questo tipo.
Più sai e, spesso, più sai di non sapere: questa consapevolezza dell’infinita mole di cose da imparare può dare l’avvio ad una sindrome dell’impostore socratica.
E poi ho pensato ad un’altra cosa: quante volte abbiamo sorriso e ci siamo mostrate intenerite e indulgenti di fronte a personaggi femminili presentati come le poverine da salvare, quelle rassicuranti?
Quanto ci sentiamo in grado di dire di non essere terrorizzate, a tratti, al pensiero di diventare colei che le nostre amiche vedrebbero come “quella che ha avuto successo”?
Siamo certe che esista un modello di femminilità di successo supportata in primo luogo da noi donne, o non è che cadiamo nella trappola che diciamo esserci tesa dall’esterno?
Non per forza riconoscerci un valore e vedere la strada fatta fin qui significa ignorare l’enorme portata di conoscenze ancora da raggiungere, anzi.
Leggere e riflettere sulla nostra cultura, farci domande: nei miei percorsi facciamo anche questo.