Buongiorno a tutti!
Forse mi piace così tanto leggere perché mi interessano così tanto le persone.
Mi seguite in questo ragionamento?
Chiedere ad un altro a cosa pensa, quando si alza la mattina
Mi interessa sapere come vedono le cose, se hanno dubbi, quanto spesso le loro giornate diventino insostenibili, i piccoli momenti in cui sentono che ne vale la pena, quelli in cui si chiedono cosa stanno facendo.
Io vorrei andare lì e chiedere a chi ha imboccato una strada: “Com’è? A volte vorresti tornare indietro?”
O a chi ha deciso di sacrificare tutto per un altro, per un lavoro, per una passione: “A cosa pensi, quando stai per andare a letto o ti svegli la domenica mattina?”
Capite bene che siano domande difficili: dovrei, per studio ed interesse e mia curiosità, selezionare come amici solo persone con vite molto diverse, a cui porre tutte queste domande quando saremo entrati abbastanza in intimità da poterlo fare.
Capirete bene quanto sia difficile – e forse anche inopportuno, prima o poi qualcuno potrebbe mandarmi a stendere.
E quindi cerco di tenermi i miei amici, quelli a cui queste domande stanno anche bene perché per loro è lo stesso, e mi faccio amici anche i personaggi dei romanzi, e li scelgo molto diversi tra loro, sì.
E coltivo l’illusione che sia tutto vero, e di avere qualche risposta in più alle domande che mi faccio sempre.
Studia filosofia, dicevano! Anzi no, in realtà non me lo diceva proprio nessuno :P.
Ma non leggiamo soltanto per questo, giusto? Leggiamo per ricevere un pugno, da una mano di carta, che ci faccia uscire per un po’ da tutte queste domande autoriferite, dalla convinzione che tutto inizi e finisca con noi, e forse da qui viene l’amore per l’horror, che ci butta giù dal piedistallo e ci sbatte in faccia la nostra mortalità.
Leggiamo anche per smettere di essere bellissimi narcisi, per accorgerci che tutto intorno c’è un mondo che se ne frega, di tutte queste elucubrazioni.
Ritornare a far fatica, a non temere il pericolo
Perché se non facciamo mai un passo che sia sbilanciato, se non usciamo mai dal nostro orizzonte in cui ci diamo o ci neghiamo da soli a seconda dei giorni una pacca sulla spalla, possiamo proprio dire di essere ancora vivi?
Perché l’avventura funzioni il percorso deve essere diretto: ci si allena, si vince, si diventa famosi. E felici. E va bene così.
E se si perde?
Nel salotto televisivo si piange e si va a casa; nella vita fuori dallo schermo si va in pezzi, semplicemente. Il fallimento non è solo il contrario del successo, è il contrario di tutto ed è una possibilità spaventosa. Troppo difficile equivale quindi a pericoloso […].
(tratto da “Lettori si cresce”, di Giusi Marchetta, Einaudi, 2015, pag.77)
Quanto ci siamo abituati ormai all’idea che chi non vince è perduto e che quindi vada evitato ciò che è troppo difficile in quanto ci espone a questo pericolo?
Quanto, al fatto che tutto sia interessante solo nella misura in cui è riferito o riferibile a noi, che ci rispecchiamo come Narciso nella fonte?
Di queste riflessioni sono debitrice, oltre che al saggio di Giusi Marchetta nominato sopra, anche a Leggere per leggere di Rachele Bindi e Hamelin, di cui vi ho già parlato.
Il piccolo atto di disobbedienza che uscirà la prossima settimana ha dietro questa idea, quella di recuperare stimoli vitali e con un percorso, dentro di noi, a lento rilascio, anche e soprattutto per chi non è abituato.
A lento rilascio, sì, ma per chi vorrà potrà limitarsi ad un’unica occasione d’incontro, diversa da tutto quello che ho proposto finora.
Per gli altri, a questa seguirà un mio percorso di gruppo – che potrà anche essere fruito senza questa parte precedente.
Interconnessione, ma non interdipendenza.
La nostra paura di avere paura e la complessità del mondo che celano le narrazioni che la mettono al centro, di cui parleremo insieme, possono sembrare narcisisticamente non riferibili a noi.
Coltivare l’immaginazione tramite storie che non sono direttamente realistiche significa darci ancora una possibilità di cogliere più sfumature e di non fare soltanto cose con un risvolto pratico immediato.
Non si cresce soltanto nel riconoscimento narcisistico, nei personaggi uguali a noi, ma anche nella perdita di punti fermi. Nell’andare verso qualcosa di totalmente altro.
Se siete curiosi di cogliere questa possibilità, potete iscrivervi alla newsletter.
Io vi lascio con la testimonianza di Chiara Cavenago che ha partecipato ad un percorso, Il perturbante come rifugio, che nell’incontro con un mondo solo apparentemente distante rimette in gioco ciò che pensavamo di sapere su di noi, sul mondo.
“Senza dubbio alcuno la svolta che ho avuto seguendo il percorso sul Perturbante ha cambiato molto il mio modo di leggere romanzi, soprattutto quelli in cui accadono cose spiacevoli, spaventose, perturbanti. Ma di conseguenza anche di “leggere” e valutare anche alcune storie di vita reale, aumentando di molto l’esperienza empatica.
Durante la lettura di un racconto di Stephen King mi si è palesata, come un fulmine improvviso, la nitida consapevolezza di non avere il diritto di giudicare le emozioni, i pensieri e le reazioni di chi vive un’esperienza (soprattutto se traumatica) che io non conosco davvero ma posso solo ipotizzare.
Ho capito che non ha senso dire ”Ah, ma dai, certamente non mi comporterei come lui/lei, piuttosto io farei così e cosà” perchè non è possibile: non lo so come reagirei, non posso saperlo finché non mi ci ritrovo, in quella situazione.
Se avessi letto da sola lo stesso racconto, senza avere alle spalle i confronti e le riflessioni fatte con Chiara e le altre partecipanti, non credo sarei arrivata alla stessa conclusione: sarei esplosa, con un presuntuoso “Maddai! Ma figurati!”, archiviando la storia con incredulità e fastidio.
Ma raggiungere questa consapevolezza mi ha poi aiutato a leggere in modo diverso delle vicende reali, che mi hanno aperto gli occhi su altre possibilità, altri modi di vedere e reagire, e di conseguenza ho imparato a sospendere il giudizio.”