Copyright foto: Officine Biancospino
Buongiorno a tutti!
Vi è mai capitato di arrabbiarvi con qualcuno con cui state parlando, accusandolo: “Ma stai ragionando per stereotipi!”.
A nessuno piace l’idea di non ragionare con la propria testa, e nemmeno di ascoltare chi infila, nel discorso, un luogo comune dopo l’altro!
Possiamo essere persone più o meno aperte e ragionare con più o meno preconcetti, ma da qualche stereotipo ci passiamo tutti, per il fatto stesso di essere umani e di essere immersi nella nostra cultura di appartenenza. Oggi indaghiamo insieme il perché.
Siete pronti? Allora iniziamo!
Da dove viene la parola “stereotipo” e che cosa significa?
Alla voce troviamo: “1. agg. a. Di stereotipia, realizzato con il procedimento della stereotipia: ristampa s. di un volume; lastre s., le stereotipie, ossia le controimpronte, delle forme di composizione tipografica. b. fig. Impersonale, inespressivo, perché detto o fatto senza partecipazione (meno com. di stereotipato): i soliti discorsi s. da salotto; un sorriso stereotipo. 2. s. m., fig. a. Modello convenzionale di atteggiamento, di discorso e sim.: ragionare per stereotipi. In partic., in psicologia, opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone o avvenimenti e situazioni (corrisponde al fr. cliché)[…]”.
Buffa, no, l’origine della parola, che indica un calco, una copia di qualcosa? Vediamo così che è presente il riferimento a qualcosa di precedente, già fatto e costituito: da qui l’idea di una ripetizione dovuta ad un preconcetto, a qualcosa di non ragionato, al riferimento ad un mucchio generico senza riguardo per l’individualità.
La valenza è pertanto negativa, nell’uso del termine che facciamo tutti i giorni.
Eppure, possiamo arrivare all’inaspettato che sta dietro a questo meccanismo: noi esseri umani siamo esposti ad una mole enorme di informazioni, che sta crescendo sempre più nel nostro mondo 2.0. Fare ricorso a stereotipi, intesi come modelli che raggruppano insieme un gruppo con caratteristiche simili prescindendo da quelle diverse, sarebbe nient’altro che un meccanismo di sopravvivenza del nostro cervello per evitare il collasso.
Ciò che normalmente viene visto come negativo, ovvero il prescindere dalle differenze e quindi dall’individualità, può diventare così per noi più comprensibile e anche legittimo grazie a questa spiegazione: dipende dall’ambito in cui facciamo ricorso agli stereotipi e dal livello di approfondimento di cui abbiamo bisogno nei nostri discorsi; può essere fastidioso e arbitrario (tanto più quando ci riferiamo a persone) quanto legittimo a seconda dei contesti.
Possiamo così spogliare questo concetto in parte dalla sua accezione negativa e pensare che a volte può essere più necessario farlo di altre.
In finanza comportamentale questo tipo di errore fa parte delle euristiche, una parte del metodo scientifico che consiste nel basarsi su intuizioni derivate dall’esperienza per procedere nel ragionamento, di solito preliminari ad un prosieguo più “rigoroso”. Potremmo essere portati a giudicare due eventi tra loro simili, prescindendo dalle differenze, comportandoci così in un momento futuro sulla base di regole formulate durante l’evento passato.
Ragionare per stereotipi può così essere un meccanismo fondamentale alla nostra vita di tutti i giorni o nocivo, a seconda dei momenti.
Suggerimento di lettura: “Stoner“, di John E. Williams. Se volete vedere l’uomo e la bellezza della sua storia dietro allo stereotipo che potrebbe sembrarvi all’inizio, questo libro vi mostrerà la bellezza di una vita e di un personaggio assai normale, e per questo straordinario.