Buongiorno e buon lunedì a tutti!
Oggi, per le Interviste per ampliare gli orizzonti, intervisto una persona che si occupa di un ambito che, secondo me, non è ancora conosciuto quanto dovrebbe.
Sono davvero felice di parlarne perché credo che il venirne a conoscenza potrebbe aiutare tanti nuovi progetti a vedere la luce.
Parliamo di soldi che mettono le ali ai progetti, e ne parliamo con una persona speciale.
Non si incontrano spesso persone con cui trovi una unità di intenti, valori e di entusiasmo: Giulia Moscatello per me è stata una di queste e, visto il suo carattere carismatico, lascio subito la parola a lei: la vostra curiosità sarà soddisfatta! 🙂
Cara Giulia, ci racconti qualcosa di te?
Ho studiato legge con passione ed interesse, ma, ben presto, la professione forense si è rivelata per me troppo stretta e troppo lontana dalla mia indole creativa e innovativa (non me ne vogliano gli amici avvocati…ma il lavoro da avvocato non è proprio l’emblema della creatività).
Comunicatrice nata (ok diciamo pure un po’ logorroica), inizio a studiare marketing e comunicazione digitale e lì scopro l’amore per questo settore dove finalmente mi sento a mio agio.
Attualmente sono consulente di fundraising per il non profit e di digital marketing. Mi piace lavorare con organizzazioni non profit e professionisti che vedono nel web un’opportunità di crescita e sviluppo.
Ho anche recentemente fondato Net Club, una rete di professionisti del marketing digitale per offrire consulenze personalizzate a piccolo imprenditori e organizzazioni non profit. Ecco il sito e la pagina Facebook del progetto.
Hai detto la parola magica: ci spieghi che cosa fa un fundraiser?
Quando dico che sono una fundraiser, di solito, lo sguardo del mio interlocutore si sbarra e posso percepire distintamente le cellule del suo cervello bufferizzare una risposta che 90 volte su 100 aprirà una pagina errore 404. Questa frase dice molto di me: che faccio un lavoro che quasi solo noi addetti ai lavori comprendiamo, che sono un po’ nerd e appassionata di web (e che mi piace italianizzare i termini inglesi, con buona pace di alcuni colleghi copywriter).
La seconda emozione che scorgo negli occhi del mio interlocutore, quando spiego che il fundraising può essere assimilato al marketing per il non profit, di solito, è curiosità mista a compassione. Curiosità perchè nessuno, o quasi, immagina che le regole del marketing possano applicarsi anche ad un mondo così lontano dalle dinamiche di vendita spietata, compassione perchè in genere si pensa che io passi le mie giornate a chiedere soldi alla gente o che sia una organizzatrice seriale di banchetti di beneficenza (ah, noi fundraiser odiamo questa parola! Non ditela mai in nostra presenza: il rischio è che parta uno sproloquio infinito sulla grandissima differenza tra fundraising e beneficenza).
Dal momento che però la parola beneficenza è stata detta, non posso esimermi dallo sproloquiare almeno un pochino sull’abissale differenza che c’è tra i due concetti. Questo non perchè io sia una sadica torturatrice, ma perchè la differenza che intercorre tra fundraising e beneficenza è l’anima di questo lavoro ed è ciò che lo caratterizza.
Quando pensiamo alla beneficenza, infatti, pensiamo ad un generico “far del bene” come motore che spinge qualcuno ad effettuare una donazione per una o per l’altra causa.
Per noi fundraiser questo concetto di beneficenza non va mai dimenticato, perché in fin dei conti chi fa una donazione lo fa nella profonda convinzione di fare qualcosa di buono o generoso a sostegno di una causa. Ma per noi professionisti di questo settore è anche vero che c’è qualcosa che va al di là del mero “far del bene”.
Ecco, visto che la tua è una professione nata in un mondo che ha regole diverse rispetto al passato, spiegaci il contesto in cui il fundraiser si inserisce e agisce.
Al giorno d’oggi si deve fare i conti con la realtà oggettiva del contesto socio-economico in cui ci troviamo a vivere. Un contesto dove lo Stato non è più in grado di creare un sistema di welfare sufficiente a garantire determinati servizi che in passato erano considerati di base.
Ed ecco che il donatore si trasforma in un investitore sociale, mosso certamente dalla volontà di fare del bene, ma anche di contribuire a migliorare la comunità in cui vive, intesa in senso micro (la propria città o addirittura il proprio quartiere) o in senso macro (la salute degli oceani, la ricerca contro il cancro).
Il ruolo del fundraiser, quindi, diventa quello di un facilitatore sociale. Di un professionista che da un lato mette a disposizione delle organizzazioni le proprie competenze per aiutarle a rendere strutturata, prevedibile e organizzata la raccolta fondi e, dall’altro, sensibilizza i cittadini sull’impatto sociale del proprio dono.
Durante la nostra chiacchierata mi hai parlato del “lascito testamentario”: ci spieghi di più?
Sicuramente è lo strumento che meglio incarna questo ruolo sociale del dono, uno degli strumenti che io preferisco utilizzare con le organizzazioni con cui lavoro. Un po’ perchè la mia formazione giuridica mi permette di conoscere molto bene le regole giuridiche, un po’ perchè è uno strumento dove la componente razionale e di pianificazione economica è più presente sia lato donatore, sia lato organizzazione.
Una disposizione solidale in un lascito, infatti, permette al donatore di pianificare il sostegno per una causa anche quando lui o lei non ci sarà più. E questo è evidente. Ciò su cui, però si riflette un po’ di meno è l’importanza a livello macroeconomico dello strumento del lascito solidale. A fronte di una popolazione sempre più anziana e di nuclei famigliari sempre più composti da un unico componente, il pensiero di effettuare un lascito permetterà di dare un indirizzo ad un patrimonio potenziale di miliardi di € che nei prossimi decenni rischia di finire genericamente nelle casse dello Stato, quando, invece potrebbe essere sapientemente indirizzato verso enti concretamente impegnati in modo trasparente nel sostegno di cause fondamentali per lo sviluppo del Paese e addirittura oserei dire del Mondo.
In definitiva, l’aspetto di facilitatore di investimenti sociali è probabilmente quello più peculiare di questa professione che è davvero un peccato ridurre a quello di un mero operatore del marketing per il non profit.
Conoscevate già il lavoro del fundraiser, avevate già chiaro cosa fa e cosa no?
Se Giulia vi ha incuriosito, potete andare a sbirciare ed approfondire sulla sua pagina Fb e sul suo sito.
Ultima modifica il 28/11/2019