Buongiorno!
In questa mia fase di continuo aggiornamento sul senso ultimo del mio lavoro, che credo sia comune a chi è in proprio in cicli che ritornano, vorrei parlarvi di un saggio.
Si tratta di “Contro l’impegno – Riflessioni sul bene in letteratura” di Walter Siti e nell’articolo di oggi vorrei parlarvi di ciò che più ho sentito vicino.
La letteratura come avventura della parola
Il libro è composto di diversi saggi, uniti da una riflessioni su cosa sia la letteratura oggi e sui fraintendimenti e l’impoverimento a cui la espone la commistione con altri linguaggi (giornalistico, televisivo, dell’impegno politico, tra gli altri).
Nel primo saggio si esamina la pretesa per cui la letteratura dovrebbe fare del bene e non dovrebbe provocare danni: ci sono esempi di oggi ma non solo, perché Siti va indietro nel tempo a ricordarci che sono pensieri che si ripresentano in epoche diverse.
Ma un neo-impegno, si potrebbe dire, che male poi potrebbe fare?
Il rischio è di scordare la forma da cui ogni testo letterario dovrebbe partire e che fa parte della sostanza stessa del raccontare.
Questo accade iin virtù del voler raggiungere il maggior numero possibile di persone e del voler essere anti elitari.
Il rischio è di scordare che la letteratura dovrebbe essere
ascolto e avventura della parola
(tratto da “Contro l’impegno”, pag. 25)
e non avere invece la pretesa che passi un messaggio o che faccia bene o che informi, scopo che pertiene ad altri campi d’uso della parola.
Una letteratura che combatta contro l’infelicità finisce per abdicare alla sua caratteristica fondativa, che vediamo insieme al prossimo punto.
Un’ambiguità fondativa e ineliminabile
La scrittura storica e quella giornalistica hanno come base la nostra logica comune: devono cercare la verità, condannare i colpevoli, fare chiarezza, non contraddirsi.
Tutto questo non può in alcun modo appartenere alla letteratura in cui
l’ambiguità è fondativa e ineliminabile, […] in letteratura i colpevoli sono anche innocenti e gli innocenti anche colpevoli, non c’è particolare che non possa essere infinitizzato o generalizzato, diventare metaforico, simbolico, emblematico o mitico.
(tratto da “Contro l’impegno”, pag. 148-149)
Questo è collegato a Forma e Bellezza che hanno la propria sede in letteratura, mentre la Verità e il Bene non le appartengono.
Io ho trovato in questo saggio una preoccupazione che è anche la mia, un portare il ragionamento oltre la pancia e la soggettività.
Ho trovato una complessità e uno stile argomentativo senza enfasi o pathos, contro cui invece ci si pronuncia, con una precisione accurata e piana.
Mi è piaciuto il ragionamento sugli esiti del vedere la letteratura mischiarsi ad altre forme e del sottostare all’impegno verso il bene.
Rischiamo, dice Siti, la perdita di fiducia nell’inconscio, nel cercare di ridurre sempre tutto alla velocità di un’informazione da reperire su Google.
Si rischia di portare tutto alla luce e di renderlo piano, piatto e immediatamente conoscibile: un’idea che ho trovato in un altro saggio che vi consiglio, Bianco, di cui ho già parlato e che lo stesso Siti cita in questo libro.
E lo fa legandolo a Il decoro di David Leavitt, romanzo che abbiamo letto in uno dei miei percorsi e che ci ha dato molto di che parlare e che, per me, rappresenta davvero il fatto che la letteratura, anche quando comprende in sé eventi dell’attualità, non serve a decretare dove stia la ragione.
Se avete voglia di leggere un saggio con cui ragionare di letteratura e del suo più intimo senso, allora fa per voi :).