Buongiorno a tutti!
Il 10 novembre ho finalmente rivelato in newsletter cosa stavo tramando :P: il percorso di gruppo “Il perturbante come rifugio – Percorso da Shirley Jackson a Stephen King e oltre” è qui.
Rimangono ancora alcuni posti: trovate tutte le informazioni qui, chiuderò le iscrizioni il 30 novembre e se avete domande potete scrivermi un’email a info@chiarasinchetto.com.
Oggi vorrei parlare con voi di due cose: di quali vantaggi ci sono nello scoprire un genere nuovo e perché credo che l’horror parli a tutti, di noi.
I vantaggi di scoprire un genere finora a noi sconosciuto
Quando si approccia un nuovo genere è tutto un turbinio esplorativo.
Tutti abbiamo esperienza delle volte in cui preferiamo privilegiare un film o un genere che conosciamo e a cui siamo affezionati, e di quelle in cui invece scegliamo qualcosa di nuovo.
Esiste il piacere della curiosità che è legata alla sperimentazione del nuovo.
Dopo un po’, subentra quello della familiarità: impariamo a riconoscere il linguaggio di quel determinato genere.
Dalla positività della ripetizione di ciò che conosciamo possiamo facilmente scivolare nell’assuefazione dell’abitudine: per poi ricercare il cambiamento e riattivare l’interesse.
È quello che Torben Grodal definisce “novelty-habituation cycle“.
Esistono stilemi, cliché che, conosciuti, possono generare un dialogo fecondo tra scrittore e lettore e regista e spettatore, soprattutto quando li si usa per dire qualcosa di nuovo.
Un esempio? Film metanarrativi e postmoderni come Quella casa nel bosco sono stati creati apposta per noi appassionati che ci divertiamo a riconoscere il nerd, il belloccio, la secchiona e la bionda svampita.
Ma cosa succede se il belloccio si rivela parecchio intelligente, la secchiona non corrisponde allo stereotipo della ragazza casta e solitaria e così via?
Succede che, una volta imparate le regole della messa in scena divertendoti, sarai felice di decifrare il messaggio nascosto di un film che parla della nostra società, mentre sembra fare tutt’altro.
Il vantaggio?
Il meraviglioso piacere cognitivo di imparare cose nuove, di vedere un aspetto, un tema, reso con le specifiche di messa in scena di un genere che, narrandole, le trasforma.
E così, l’horror non è mai neutrale: nel raccontare di noi, aggiunge un livello di senso che espande il nostro modo di vedere e, importantissimo, a lungo andare anche di pensare.
Così, da adulto potresti tornare alla ricerca di brividi che sanno di casa e di sicurezza, come racconta la filosofa Ilaria Gaspari in questo articolo.
https://www.illibraio.it/news/dautore/vampiretto-1391934/
E qui arriviamo alla domanda: perché proprio l’horror?
Perché l’horror parla a tutti, di noi e del mondo in cui viviamo
È un genere di spavento molto confortevole, da distillare pagina dopo pagina, e che ha qualcosa di consolatorio nelle sue sembianze familiari, rinfrancanti; allo stesso tempo, però, riesce ad accendere la scintilla dell’immaginazione sbrigliata, che è un’altra delle massime delizie della vita – la gioia di ingannarsi per far salire un piccolo brivido, un brivido indotto, però, non di quelli che la vita a volte impone; anche se forse, mi sono sorpresa qualche volta a pensare, se uno sa godersi davvero le sensazioni che prova leggendo, un poco si rafforza anche nel vivere, poi.
(tratto da quest’articolo di Ilaria Gaspari)
Nel suo saggio “Film, emotion and genre” il filosofo Noël Carroll ci espone motivazioni che sono valide anche per noi, tanto per l’analisi quindi del genere filmico quanto di quello letterario.
Carroll analizza alcuni generi alla ricerca dell’emozione che essi susciterebbero in modo peculiare.
Questo discorso si incrocia con un altro molto rilevante: parlando dei generi destinati a suscitare paura, non possiamo non rilevare un aspetto evoluzionistico del genere stesso, per cui scrittori e registi devono inevitabilmente operare cambiamenti, se non vogliono suscitare risa al posto della paura:
If, for example, horror film viewers for various social reasons begin to prefer monsters from outer space to monsters from Transylvania, filmmakers will try gradually to optimize their films to suit this new preference.
(tratto da “Embodied visions. Evolution, emotion, culture, and film”, Torben Grodal, Oxford University Press, New York, 2009, pag.39)
Se per un Cronenberg (padre) l’ossessione è “l’unione e la collisione tra la sfera biologica e quella tecnologica” ed è, come dice l’articolo, uno specchio dei suoi tempi, Cronenberg figlio ci parla ad esempio dell’ossessione della nostra epoca per le celebrità e di una voglia molto malata di partecipare delle loro vite.
E come trova il modo, il genere, di fare tutto questo?
Nei casi più illustri e riusciti, senza farci la morale su quanto la nostra società sia brutta e cattiva, su quanto la solitudine pervada alcune vite anche di giovanissimi e via dicendo.
Lo fa permettendoci di riprovare quel brivido che alcuni di noi hanno sperimentato da bambini, lo fa togliendoci dalle spalle il fardello dell’essere adulti e responsabili per farci credere nei mostri, e parlarci così di quelli che si annidano tra di noi.
Se volete rendere la letteratura del fantastico uno strumento di crescita, passare ore piene e nutrienti di confronti, ricevere una bibliografia approfondita di romanzi e saggi di qualità, vi aspetto qui :).