Buongiorno a tutti!
Lo so, lo so che quella che abbiamo davanti appare come un’estate tutt’altro che incantata, ma sì, è una citazione, e poi può esserlo almeno per quanto riguarda le letture ;).
Oggi vi consiglio un po’ di libri per la vostra estate: quest’anno ho scritto davvero moltissimo, cercando di consigliare sui miei social libri di qualità filtrati dal mio sguardo. Non sono recensioni in cui troviate solo la trama o poche parole evocative, come vedrete ;).
Sono certa che anche chi mi segue su Facebook, Instagram o Linkedin se ne sia perso qualcuno.
E allora eccone quattro: ho cercato di spaziare e di toccare anche corde diverse – proprio la promessa che vi faccio con il Webinar sulla paura e con quello sulla Filosofia. Vi ricordo che le iscrizioni all’edizione individuale sono aperte ancora fino al 2 agosto e possiamo accordarci per gli incontri secondo le rispettive vacanze, cominciando anche al nostro rientro.
Che vogliate indagare domande esistenziali o andare in cerca della paura senza aspettare che vi trovi, i miei webinar fanno per voi e sono pensati per fare un’immersione in romanzi, film e serie tv grazie ai quali non rimarrete più senza opere di qualità e al tempo stesso vi avvierete lungo una strada con cui vedere cosa cambia, con l’occhio da lettori e lettrici allenati ;).
I libri che vi ho consigliato non sono tutti recenti: semplicemente, come sapete se mi seguite da un po’, non è un criterio per me così rilevante.
Che dite, partiamo? 🙂
“Donna con libro – Autoritratto delle mie letture” di Bianca Pitzorno
“Ho avuto la fortuna e il grande privilegio di nascere in una famiglia di lettori.
[…] Le donne, nessuna delle quali aveva frequentato la scuola oltre i sedici anni, e che, tutte sposate, stavano a casa a occuparsi dei figli (aiutate però da numerose domestiche) erano le lettrici più accanite, ma si dedicavano esclusivamente a quel genere considerato ‘inutile’ che era la narrativa.
Avevano molte amiche, tutte lettrici come loro. Di una, Carolina Biasi, moglie di un famoso pittore, si raccontava che usasse leggere seduta a un tavolo. […] Signora Carolina era oggetto di scherzi perché si immergeva nel romanzo di turno in modo così totale che i due figli ragazzini una volta, per esperimento, avevano segato due gambe del tavolo, accorciandole, senza che lei se ne accorgesse, se non quando il libro, per la nuova inclinazione, aveva cominciato a scivolare e le era scomparso da sotto gli occhi.”
(tratto da “Donna con libro Autoritratto delle mie letture” di Bianca Pitzorno, Salani, 2022, pag. 17-18)
Leggere questo saggio dedicato alle memorie di lettrice di Bianca Pitzorno mi ha permesso di fare un tuffo in un orizzonte riposante e avventuroso al tempo stesso.
Ho ritrovato tutto ciò che amo della Pitzorno con cui sono cresciuta: l’avventura, l’ironia acuta e intelligente, il carattere indomito e indipendente, la nitidezza con cui gli aneddoti vengono riportati e con cui sembra di ascoltare un’amica che ti racconta quei segreti che rendono la vita bella e degna di essere vissuta.
Leggere questo memoir è un’esperienza in cui immergersi per trovarsi a tu per tu con chi, lettrice e scrittrice, rivela che senza i libri la vita sarebbe molto più triste e opaca.
Mi hanno colpito, tra le molte cose belle:
- le riflessioni sul fatto che un’amicizia tra persone che amano gli stessi libri è forte come nessun’altra;
- la presa di posizione su una questione su cui ci confrontiamo anche a volte nei miei percorsi, quella della separazione tra la vita di uno scrittore o di una scrittrice rispetto alle sue opere;
- il racconto delle molte riletture di Anna Karenina che, ad età e con esperienze diverse, l’hanno portata a cambiare anche radicalmente attitudine e benevolenza (o meno) verso la protagonista e verso gli altri personaggi.
Leggetelo, ne uscirete rinfrancati e più felici.
Per te che, se devi nominare un’autrice che ti ha visto crescere, rispondi “Bianca Pitzorno”.
“Gli ansiosi” di Fredrik Backman
A volte proviamo dolore, un dolore immenso, per il semplice fatto che la nostra pelle non ci sembra la nostra. Ci prende il panico, perché ci sono le bollette da pagare e dobbiamo essere adulti e non sappiamo come fare, perché è così tremendamente e disperatamente facile fallire nell’essere adulti.
Perché tutti amano qualcuno, e tutti colore che amano qualcuno hanno passato delle notti tormentate svegli nel letto per cercare di venire a capo di come potersi permettere di continuare a essere una persona.”“La verità? La verità è che il rapinatore era un adulto. Non c’è niente di più rivelatore di questo sulla personalità di un rapinatore. Perché la parte terribile di diventare adulti è essere costretti a renderci conto che proprio nessuno si interessa a noi, dobbiamo fare tutto da soli, imparare come funziona il mondo.”
(tratto da “Gli ansiosi”, Fredrik Backman, trad. di Andrea Stringhetti, Mondadori, 2022, pag.8 e 54)
Qualche anno fa, partecipando da editor alla Masterclass Scrittori in editing tenuta dall’editor e agente letteraria Francesca de Lena e dalla scrittrice Barbara Fiorio, ho ricevuto un consiglio.
Lo ricordo ancora a distanza di anni perché riconosco quando il passaparola di una lettura da mettere in lista arriva perché una persona è stata colpita al cuore.
Barbara ci ha detto: “Leggete Backman. Leggete il suo L’uomo che metteva in ordine il mondo”.
Quando ho finito Gli ansiosi, di Fredrik Backman (da non confondere con Richard Bachman, pseudonimo di Stephen King), ho pensato che aveva ragione a darci quel consiglio e che devo assolutamente recuperare tutto ciò che ha scritto.
In questa storia abbiamo personaggi stralunati, ognuno alle prese con i problemi e le azioni messe in gioco dall’amore e dalla solitudine, che vengono presi in ostaggio da un rapinatore spaventato, durante la visita immobiliare di un appartamento.
La rapina alla banca davanti è sfuggita di mano per circostanze che non vi rivelo e due poliziotti, padre e figlio alle prese anche loro con l’amore e con la solitudine causata da un lutto recente, devono capire cosa fare per uscirne.
Poco dopo averlo iniziato ho detto ad Ermanno: “Credo di aver trovato qualcuno con un posto nel mio cuore vicino a King, nel parlarmi”.
Da poco ho capito di me che un mio modo di processare le nuove esperienza è la paura.
E allora, tutti gli autori che rivelano quanto e di quante cose le persone abbiano paura (compreso l’autore che lo fa con il tramite dell’horror di cui vi parlo sempre) non possono che avere un posto nel mio cuore.
Qui abbiamo paure tremendamente adulte, con soldi di mezzo e affetti che i soldi minacciano di portar via.
E una presa di ostaggi e un ponte e una continua messa a fuoco di ciò di cui davvero la storia parla, nel buttar giù la parete e rivolgersi per un attimo a noi che leggiamo.
Deve piacere questa commistione tra tragedia e ironia che fa piangere e ridere: io l’ho adorata.
Backman descrive molto bene una sensazione che ho provato spesso: sei ormai adulta e hai la consapevolezza di non poterti fidare, perché se non starai attenta forse qualcuno ti fregherà e al momento buono daranno la colpa solo a te. Questo, e il continuo oscillare con piccoli atti di gentilezza che ti mostrano come il mondo sia anche pieno di sconosciuti di cui ti fiderai all’istante, solo perché si ricordano di averti incontrato e di quella volta in cui un loro gesto ti ha salvato.
Il romanzo registra bene quello spaesamento di adulti che fingono solo di sapere cosa fanno e credono che tutti gli altri, invece, lo sappiano molto bene, con un’enfasi sull’essere genitori.
Ho amato l’empatia con cui guarda e ci fa guardare ai personaggi, normali ma in circostanze eccezionali: io concordo sul fatto che il discrimine tra una brava persona e una persona che fa una cavolata enorme e rovina tutto perché basta un’unica, tremenda idea a cui diamo ascolto perché ci sentiamo messi all’angolo, sia più sottile di quanto non vogliamo ammettere con noi stessi.
Per te che ti chiedi se anche gli altri si sentano così persi, a volte.
“Tartarughe all’infinito” di John Green
Mentre andavo a scuola con la testa che mi pulsava per il poco che avevo dormito, continuavo a pensare che da bambina avevo paura dei mostri. Quando ero piccola lo sapevo che i mostri non erano veri. Ma sapevo anche che le cose che non erano vere potevano farmi del male. Sapevo che le cose inventate sono importanti, e possono ucciderti.”
“«Ma non è questo il senso della storia, Holmesy. Il senso della storia è che la città l’hanno costruita comunque, capito? Uno si arrangia con quello che ha. Loro avevano questo fiume di merda, e sono riusciti a costruirci attorno una città normale. Non sarà una grande città. Però non è male. Tu non sei il fiume. Tu sei la città.»”
(tratto da “Tartarughe all’infinito”, pag. 229, pag.285)
John Green è uno di quegli autori capaci di farti rivedere te stessa, il mondo e tutto quanto grazie a parole che illuminano ogni cosa con significati nuovi. Questa consapevolezza colpisce fin dalla prima pagina, ve lo assicuro.
Questa è la storia di Aza, e che tipo di storia è?
Aza si sente un personaggio di finzione e l’unico modo che ha per sentirsi vera e sapere di esistere in alcuni casi è piantarsi un’unghia nella ferita sul pollice.
Aza soffre di un disturbo ossessivo compulsivo che fa sì che a volte i suoi pensieri intrusivi la scaraventino fuori dal mondo.
Daisy, la migliore amica di Aza, è un terremoto che la butta in avventure più grandi di lei.
Come quella da cui prende l’avvio tutto: il padre di Davis, un vecchio amico di Aza, ad un certo punto sparisce, poco prima di venire catturato dall’FBI, lasciando Davis e il fratellino da soli.
C’è una ricompensa enorme per chi fornisce informazioni sull’imprenditore e così Daisy spinge Aza a riprendere i contatti con Davis.
Nel frattempo nascerà un’amicizia e forse un amore e Aza sarà a contatto con i suoi peggiori demoni e noi con lei, trascinati nei vortici di pensieri che fanno sì che debba allontanarsi e allontanare tutti.
Io vi consiglio di leggere questo romanzo young adult che a me è entrato nel cuore, facendomi ricordare del primo libro di John Green che lessi talmente tanti anni fa da ricordare poco o nulla della trama, molto della sensazione di un altro libro rivoluzionario per me: “Cercando Alaska”.
Per te che vuoi immergerti nella letteratura per ragazzi.
“Stephen King sul grande e piccolo schermo” di Ian Nathan
l grande libro di King affronta in parte il problema di cosa accada con il passaggio all’età adulta, quella zona di mezzo in cui il mondo cambia definitivamente. Possiamo anche dimenticare i nostri primi anni, o cercare di farlo, ma le nostre esperienze infantili ci plasmano per sempre. È la verità di fondo di Stand by me. Le vite dei Perdenti sono dei naufragi: è significativo che siano tutti senza figli. Uno dei grandi temi del libro e dei suoi adattamenti è la necessità di entrare in contatto con il proprio terrorizzato bambino interiore.”
(tratto da “Stephen King sul grande e piccolo schermo. Cronologia illustrata completa dei film e delle serie tv”di Ian Nathan, trad. di Mara Dompé e Daria Rescaldani, Rizzoli, 2020, pag.215)
Non un romanzo ma un saggio, nello specifico credo sia il terzo, che leggo sulla tematica della cinematografia kinghiana: film al cinema, film per la tv, serie tv, remake, prequel, sequel e chi più ne ha più ne metta, nati a partire dalle storie del Re.
Negli anni, King:
- si è messo di rovescio a film che non gli sono andati giù, come il caso celebre di Shining, giudicato da lui freddo, mentre l’originale finiva nel fuoco, e con un Nicholson che non traccia un percorso di progressivo cedere alla follia sotto l’influenza dell’hotel ma ci sarebbe presentato come folle fin da subito;
- ha cercato di prendere le redini, in prima persona con dubbi risultati (vedi Brivido) o con registi disposti a mettere da parte il significato di “trasposizione” cinematografica, per seguire pedissequamente la versione letteraria (leggi Mick Garris);
- ha chiuso un occhio o partecipato con spirito scanzonato con cammei ai film che gli proponevano: storia per lo più recente.
Questo saggio è notevole per:
- quantità: mole di adattamenti presi in considerazione;
- informazioni: aneddoti legati agli umori di King rispetto a questo o quest’altro film, riprese, l’avvicendarsi di imprevisti produttivi che a volte spiegano un film. Noi vediamo spesso solo l’esito di alternanze, rinunce, passaggi, problemi, e da lì giudichiamo il film;
- qualità: lampi di riconoscimento della poetica kinghiana, che viene compresa, riportata sotto molteplici aspetti. Non solo della sua poetica, ma di cosa King possa rappresentare per l’America come scrittore;
- sorprese dai tre contenitori di sopra, tra l’It indiano e l’aneddoto dei tre capretti per la nascita di It.
È interessante perché nei miei percorsi parliamo a volte anche delle differenze tra linguaggio filmico e letterario: devo dire che mi ha sempre convinto la tesi di Ciro Ascione ne “La grande bottega degli orrori. Le ossessioni commerciabili di Stephen King” per cui il linguaggio letterario di King è traducibile in linguaggio cinematografico con grandi difficoltà e spesso a costo di semplificazioni.
Pensate solo ai suoi libri che si basano su monologhi di un personaggio, su dialoghi interiori che oscillano tra ironia e orrore.
Interessante anche il fenomeno preso in esame nell’ultima parte dei registi cresciuti da bambini come lettori dei suoi libri che da grandi hanno molta voglia di mettersi alla prova con le sue storie.
Per tutti i fan di King, ma anche per chi voglia conoscerne le innumerevoli trasposizioni cinematografiche, questo è un saggio molto godibile.
Mi fate sapere se ne leggerete qualcuno? 🙂
Buone letture!