Buongiorno!
Sono molto felice di tornare con le nostre Interviste per ampliare gli orizzonti con un’ospite davvero speciale.
Lei è Valentina Sagnibene, scrittrice per ragazzi che con le sue storie è entrata nel mio cuore.
Valentina ha già all’attivo molti libri pubblicati con importanti case editrici.
Proprio in questi giorni è uscito il suo nuovo libro, Team Zero²; io ho già divorato e adorato i suoi Storia di ragazzi difettosi e Con o senza di noi e ovviamente ho in programma di recuperare tutto ciò che esce dalla penna delicata e piena di grazia e di amore per i suoi personaggi di questa talentuosa scrittrice.
Valentina non è solo una scrittrice che vi consiglio di scoprire, di leggere voi stessi e di far leggere ai ragazzi; è anche una persona con cui ho passato tempo a chiacchierare e a scambiarci consigli di lettura e di visione, entrando in punta di piedi l’una nella vita e nel lavoro dell’altra con la sensazione di avere tanto in comune.
Ora non rubo più tempo alle sue parole; siete pronti a farvi conquistare?
Valentina, raccontaci di te: quando hai deciso che saresti diventata una scrittrice?
Stories hold our cure.
Parto sempre da qui quando racconto del mio rapporto con la scrittura e, in generale, con le storie.
La citazione non è mia, ma presa da un commovente frammento della stand-up comedy di Hannah Gadsby, “Nanette” (io l’ho amata. Se volete darle un’occhiata, la trovate su Netflix).
Le storie che raccontiamo ci curano. Almeno un po’. Mi piace pensare che sia così per chi scrive e per chi legge. Un dare e ricevere. Perché alla fine anche questo sono le storie: la ricerca di un dialogo continuo con l’altro.
La speranza di una connessione autentica. Un modo per dire con mille parole diverse: il mondo fa paura, ma non sei sola e se ti va possiamo avere paura insieme.
Il mio rapporto con la scrittura è un po’ questo. Seguire le briciole di luce.
Cercare, sempre, l’umanità.
C’è un aneddoto simpatico (credo) che ricordo quando mi chiedono “Quand’è che hai capito che volevi diventare una scrittrice?”. Ha a che fare con una piccola me in terza elementare, con un maglioncino di lana che faceva prurito dappertutto e una storia breve e fantasiosa per bambini, ma letta ad un pubblico adulto.
C’è di mezzo pure un albero di budini, piantato chissà come nel giardino della scuola.
In quel giorno lontanissimo, davanti ad un racconto scritto in una pessima calligrafia su un foglio protocollo, mi sono immaginata autrice per la prima volta. E poi il sogno mi è rimasto appiccicato dentro fino a trasformarsi in una voce che reclamava tutta la mia attenzione. Non sai quante volte ho cercato di metterla a tacere, perché al giorno d’oggi ammettere che vuoi fare la scrittrice è considerata una follia.
Come vedi, non ci sono mica riuscita!
Oggi scrivo.
Sono molto lontana dalla professionista, dall’autrice, che vorrei essere, ma sono felice di riuscire a dirlo ad alta voce senza più sentirmi in difetto, sbagliata.
Fra parentesi, penso che chi ha un sogno non dovrebbe sentirsi mai in questo modo. Non trovi?
Non potrei essere più d’accordo!
Entriamo ora nelle tue storie: per chi scrivi e come fai a sentire che la storia è quella giusta?
Ho iniziato a pubblicare nel 2018, dopo un anno intensivo di master, e da allora mi muovo principalmente tra il target middle grade e young adult. Porto in libreria i miei “coming of age books”, romanzi di formazione: storie di adolescenti alla ricerca del proprio posto nel mondo, che affrontano il caos di emozioni, il terrore e la fragile bellezza della loro età, provando ad uscirne tutti interi.
Ho una certa predilezione per questo tipo di storie, è vero, ma in realtà amo scrivere di qualsiasi cosa e per qualsiasi pubblico, sia in qualità autrice che di ghostwriter.
Insomma, sono un caso senza speranza!
Mi chiedi come sento che la storia è quella giusta.
Mi piace molto il verbo che hai usato, “sentire”. Perché scrivere è tanto studio e formazione (molti dicono che scrivere sia soprattutto ri-scrivere) ma c’è una parte di intuizione, una sfera irrazionale che non riesci mai ad afferrare fino in fondo. Sai che è così e basta. È un po’ quello che mi capita quando arriva l’idea per una nuova storia.
La cosa divertente – almeno per me, forse lo è meno per chi mi sta intorno! – è che mi succede da un momento all’altro. Non mi dico mai “ecco, devo proprio trovare una nuova storia da buttar giù” (a meno che non si tratti di scrivere su commissione).
Di solito sto facendo tutt’altro. Bevo un caffè al bar. Gioco con mia nipote. Ascolto una canzone. Guardo fuori dal finestrino di un treno in viaggio. Sento una parola, una frase, vedo un’immagine e per qualche motivo mi scava dentro.
Qualunque cosa sia, comunque, mi gira intorno per un bel po’, finché non le presto attenzione. E allora la prima mossa è forse la risposta alla tua domanda.
Mi chiedo se dentro a quel dettaglio, a quella parola, immagine o canzone che mi ha così colpita, ci sia qualcosa di universale.
Se la risposta è sì, significa che c’è una storia che vale la pena di raccontare.
Cosa intendo per universale?
Intendo un sentire universale che all’apparenza può sembrare anche minuscolo, banale, scontato.
Ma ha l’enorme potere di metterci in connessione gli uni con gli altri, ovunque ci troviamo, a qualsiasi età.
Ecco, se capisco che alla base di una storia riecheggia un tema di ampio respiro, una domanda necessaria.
Allora è quella che voglio raccontare.
I tuoi personaggi rimangono nel cuore. Ci racconti come nascono?
Ci sono storie plot-driven, ossia portate avanti, “guidate”, dal conflitto esterno e storie character-driven, che lo sono invece dai suoi personaggi e dai loro conflitti interiori.
Ecco, come autrice (ma anche come lettrice), appartengo senza dubbio alla seconda “squadra”.
Dopo la domanda tematica, per me i personaggi sono tutto. Sono il cuore pulsante della storia e quando metto la parola fine ad un mio romanzo, li saluto sempre con profonda nostalgia e gratitudine.
Mi piace individuarli, lasciare che mi vengano a trovare e mi sorprendano. Mi diverte caratterizzarli, vederli cambiare nel corso della narrazione. Soprattutto, adoro scavare nella loro psicologia per renderli tridimensionali, complessi, pieni di sfaccettature. Più veri possibili.
Ci sono tanti modi per farlo. Io, ad esempio, cerco di individuare subito:
- il loro need più profondo, ossia ciò di cui hanno inconsapevolmente bisogno per cambiare e raggiungere la loro vera essenza;
- il loro desire, il desiderio, cosa vogliono raggiungere nella storia con le loro azioni. Non coincide mai con il need, o almeno non fino alla fine;
- la loro paura più grande, che di solito nasce dal ghost, un fantasma che i personaggi si portano dentro e che all’inizio li blocca in una fase di mera sopravvivenza. Un trauma mai superato, ad esempio, una grave mancanza affettiva ecc…
Inutile dirti che il discorso sull’arco di trasformazione di un personaggio sarebbe molto più articolato e ampio di così e che starei ore ad approfondire con fiumi di considerazioni ma… te lo risparmio!
Le persone sono spesso curiose di scoprire come funziona la creazione di un libro.
Ci porti dietro le tue personali quinte? 🙂
Non penso di avere una routine di scrittura interessante, ad essere sincera. Sono una persona abbastanza monotona: siamo io, il pc, i miei personaggi, musica di sottofondo e possibilmente litri di caffè.
Posso dirti però in che modo sviluppo la storia prima ancora di mettermi a scriverla: come hai già capito, parto dal tema-contro tema per andare a definire i personaggi che li incarnano al meglio. Poi lavoro sulla struttura, cercando di definire il set-up e gli snodi principali dei tre atti (ad esempio: incidente scatenante, turning point, “morte apparente”, rivelazione e così via), scrivo la sinossi e infine mi sbizzarrisco creando la mia bibbia dei personaggi.
Poi arriva la parte più difficile per una persona impaziente come me: sottoporre il materiale alla mia agente e, dopo, all’editore che ci sembra più adatto, o con il quale ho già instaurato un bel rapporto (in questo, sono molto fortunata).
Qui inizia l’attesa di un riscontro!
Cosa succede, invece, dopo la pubblicazione? Questo è il territorio più incerto di tutti. Perché per quanto tu possa aver lavorato bene, aver scritto una bella storia, la verità è che nessuno può dirti con sicurezza come andrà. Se il pubblico la apprezzerà. Se venderà tante copie.
La promozione di un libro, per me, è una delle cose più complicate. Principalmente perché – e lo dico senza vittimismo o arroganza – in un mondo dove i social spopolano, la popolarità attira popolarità (per il lasso di tempo più o meno breve a cui ci hanno abituato IG stories e trend su TikTok) e dove sembra che tutti abbiano sempre qualcosa da dire su tutto, io spunto dal nulla e non mi so inserire in modo naturale in questo contesto.
Ma sarebbe estremamente riduttivo parlare solo di strategia e di social media marketing. Oggi dobbiamo fare i conti con il fatto che vengono pubblicati tantissimi titoli al mese, i libri restano sempre meno tempo sugli scaffali e gli uffici stampa delle case editrici si trovano a far fronte ad una mole di lavoro impressionante.
Insomma, il discorso promozione ha mille sfaccettature, ma una costante: vede l’autore, l’autrice, in prima linea. È un lavoro nel lavoro. E, di sicuro, sarebbe cosa buona e giusta iniziare a pensarci ben prima della data di uscita: costruire una propria rete di contatti, creare contenuti interessanti da veicolare, parlare con le persone. Farsi conoscere. Restare presente per il pubblico, coccolarlo.
Perché se è vero che è difficile conquistare nuovi lettori, lo è anche non deludere le loro aspettative, storia dopo storia!
Attenzione però. I canali di promozione non sono per forza sempre gli stessi: dipende dal tuo pubblico di riferimento. Per esempio se scrivi per l’infanzia, per pre/adolescenti o giovani adulti, oppure per gli adulti. E ancora se il tuo libro è una storia illustrata, un romanzo (e che genere), un saggio…
Ecco, qui la domanda sorge spontanea: qual è il rapporto con il tuo pubblico?
Nel mio caso, come per tanti altri autori e autrici molto più capaci di me, il lavoro di promozione maggiore è nelle scuole – ed è meraviglioso!
Come accennavo poco sopra, oggi sono riconosciuta principalmente come autrice per ragazzi e giovani adulti. Questo significa avere l’opportunità di girare per l’Italia e incontrare il mio pubblico nelle scuole. Se il libro piace e viene ritenuto adatto, ovviamente!
Ecco, sapere che i miei romanzi avevano iniziato a circolare negli istituti scolastici è stata un’emozione fortissima.
In questi ultimi due anni ho avuto la fortuna di conoscere libraie incredibili, organizzatori di eventi/iniziative super e insegnanti appassionate che hanno creduto nelle mie storie, nei miei personaggi – e quindi nella mia penna.
Sono profondamente grata a tutti loro, ci tengo a sottolinearlo: ogni volta che mi chiamano per incontrare gli studenti, sono loro che fanno un regalo a me e non viceversa!
Ammetto però di essere anche un po’ in ansia.
Forse si è già capito, ma io e la sindrome dell’impostore siamo diventati, nel tempo, grandi amici. Quindi, all’avvicinarsi di un nuovo incontro, entro nel solito loop di pensieri: sarò all’altezza? Cosa ho io da dare a questi ragazzi? Cosa ho fatto di buono per meritarmi questa opportunità fantastica? Sarò abbastanza?
Per me il primo passo è scendere a patti con le mie insicurezze e, perché no, condividerle con il mio giovanissimo pubblico e riderci sopra insieme.
Loro mi guardano con quegli occhi grandi e curiosi e non so se mi credono davvero.
Ma la distanza fra noi si è già annullata.
La parola chiave di ogni mia presentazione è: interazione. Soprattutto quando trovo classi che hanno fatto un buon lavoro con le insegnanti, è meraviglioso poter fare un incontro completamente non frontale.
All’inizio, da brava inesperta, mi buttavo senza paracadute: go with the flow.
Il che resta vero per la maggior parte dei casi: l’attenzione dei più giovani, come quella degli adulti in realtà, viene a mancare da un momento all’altro. Bisogna dosare bene quello che si dice e come lo si dice, per continuare a mantenerla.
Poi, incontro dopo incontro, penso di essere cresciuta: adesso, ad esempio, ho sempre con me una presentazione di emergenza con un paio di video per intervallare le chiacchiere, mi presento con un piccolo gioco per sciogliere il ghiaccio. Provo a mettermi nei loro panni. Se all’inizio, per timidezza, non ricevo domande, scelgo io da dove partire a parlare del libro, cercando di capire insieme quali tematiche hanno trovato più interessanti e perché.
Insomma, per me i protagonisti sono loro e faccio di tutto per metterli al centro. Li ascolto. Penso che abbiano bisogno soprattutto di questo.
Non lo abbiamo un po’ tutti?
Esco dagli incontri arricchita, il cuore gonfio e l’adrenalina a mille. Soprattutto, con tanta gratitudine.
Perché mi rendo conto che il motivo per cui racconto storie diventa reale: entrare in connessione con le persone, prenderci cura gli uni degli altri.
Seguire le briciole di luce.
Cercare, sempre, l’umanità.
Vuoi seguire il lavoro di Valentina o contattarla?
È arrivato il momento dei saluti, vero?
Se siete arrivate a leggermi fino a qui, vi ringrazio davvero tanto.
Se vi fa piacere restare in contatto, farmi altre domande, dirmi cosa ne pensate dei miei libri o scambiare qualche chiacchiera, potete trovarmi sul social che uso maggiormente, Instagram: @valentina_sagnibene.
Oppure anche per email, qui: sagnibene.valentina@gmail.com
Vale lo stesso se foste interessate al mio lavoro con le storie, in classe o fuori, o alla mia partecipazione a laboratori e iniziative legate al mondo della lettura e della scrittura.
Sono sempre felice di parlarne, fare rete, creare nuove occasioni di incontro e condivisione.
A presto!
Chissà quale sarà il primo libro di Valentina che prenderete tra le mani.
In ogni caso, ne sono sicura: ditelo che non vedete l’ora di leggere una sua storia, dopo aver intravisto la generosità e l’apertura con cui si è raccontata e ci ha portato dietro le quinte del suo bellissimo lavoro! 🙂